LA PRIMAVERA
DIARIO DI GIARDINIERI
✍️ Rubrica di giardinaggio a cura di Caroline Moccia, Edoardo Improta e Fabrizio Montanari.
I nuovi alberi e arbusti
L’alba della ripresa vegetativa, che coincide con quell’altalenante intertempo tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera (o tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno), è il momento propizio per mettere a dimora nuovi esseri vegetali, in modo tale che la spinta fisiologica della pianta trovi ospitalità in una nuova dimora, sapientemente preparata. Approfittando dell’iniziativa regionale sul rinverdimento, l’associazione si è procurata 20 tra alberi e arbusti, tra cui esemplari di di prima grandezza (Tilia cordata, Castanea sativa). Quando si sceglie di impiantare un nuovo essere vegetale, la prima cosa che viene in mente – soprattutto se si tratta di un albero – è che, se tutto va bene, quell’individuo vegetale sopravviverà a te e alla tua decisione e inizierà una relazione (e quindi una trasformazione) con lo spazio.
La fase decisionale comprende quindi due passaggi: quello relativo alla pianta e quello relativo al luogo di impianto. Sembra semplice ma non lo è. Per quello che riguarda la scelta delle varietà arboree e arbustive, abbiamo scelto di arricchire lo spazio con specie tipiche dell’ambiente collinare ma che non fossero necessariamente già presenti, oppure che lo fossero in numero limitato.
Abbiamo notato che tra la schiera ordinata di cipressi ha deciso di crescere – un po’ storto ma deciso – un tiglio. Perché non affiancargli due compagni di viaggio e creare un piccolo boschetto di tigli (Tilia cordata)? Tra l’altro, le più felici di questa scelta saranno le api residenti ai 300 scalini. Un’altra pianta che potrebbe rendere felici le nostre amiche api è il Castagno (Castanea sativa), specie che predilige altezze maggiori ma che potrebbe trovarsi bene anche da noi. Per ora abbiamo un solo esemplare, sarà necessario al più presto trovarne almeno un secondo.
Un’ultima specie di alberi che ci è sembrata molto adatta al nostro spazio è il Gelso (Morus alba), già presente all’interno del Parco del San Pellegrino ma latitante all’interno del giardino dei 300 scalini. Oltre a rappresentare una coltura molto importante nella storia economica della regione, il Gelso è un albero molto generoso per la sua offerta di frutti e di ombra, combinazione estremamente adatta alla vocazione ospitante del rifugio di collina.
Sempre su questa linea di piante, adatte ad integrarsi nell’ambiente collinare offrendo – ad animali e uomini – parti di sé commestibili, abbiamo scelto di piantare alcuni esemplari di Olivello spinoso (Hippophae rhamnoides), dai cui frutti ricchi di vitamina C e di grassi “buoni” è possibile ricavare trasformati; un esemplare di Sambuco (Sambucus nigra); due di noccioli (Corylus avellana); uno di Spino cervino (Rhamnus cathartica) che produce frutti adatti a infusi ed elaborati a fini diuretici; un esemplare di Prugnolo selvatico (Prunus spinosa); un Mandorlo (Prunus dulcis); un Sorbo domestico (Sorbus domestica), genitore delle celebri sorbole, un tempo molto apprezzate nella dieta cittadina (oltre che nel gergo) e oggi quasi dimenticate ; un Sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia), amato dall’aviofauna migratoria e conseguentemente dai birdwatcher o dai cacciatori di uccelli, gli uccellatori appunto.
È stato un inizio primavera molto proficuo, nel quale il nostro grande giardino ha accolto nuovi abitanti che nei prossimi anni ci mostreranno quale relazione saranno stati capaci di instaurare. Qualcuno si troverà bene, qualcun altro meno. Tutti però parteciperanno al movimento del giardino.
Il prato
In primavera nel grande giardino dei 300 arrivano le foglie sugli alberi e sugli arbusti, sbocciano i fiori sui frutti ed emergono infiniti processi di crescita dal sottosuolo. Il prato. Dimensione considerata di supporto al paesaggio, uniforme e monocromatica. Ma per noi questa dimensione è tutt’altro. Intanto non è un supporto, ma è un insieme di storie di vita, ognuna significante nella sua unicità. Poi non è uniforme e men che meno monocromatico. In questo momento, per esempio, le Ajughe repens si esprimono con spighe viola piccoline, erette e ben piazzate; mentre il Ranunculus tuberosus danza sbarazzino, più esile e più alto, e dipinge di giallo l’intera collina; poi c’è la Bennis perennis, la margherita, allegra, di compagnia, i fiori non sono mai soli, guardano il cielo dal basso, cercano uno spiraglio lasciato dai ranunculus e si godono la luce disponibile senza ambire ai piani alti.
La tessitura, la gamma cromatica, l’architettura degli apparati, quante variazioni. E tutto questo è possibile perché invece di falciare tutto al primo accenno di vita, noi decidiamo di farci stupire. Perché rinunciare a una mise en scène di questo tipo? I piani bassi scalpitano. Sgocciolamenti di colore impazziti. Tele viventi che rimodellano lo spazio. Tante specie sono atterrate in autunno. Dopo un viaggio imprevedibile con il vento o addirittura in prima classe con qualche impollinatore. Questo movimento è linfa vitale per la trasformazione della biodiversità che abita i 300 con noi. Insieme a loro siamo tutti abitanti del luogo e cerchiamo di favorire una cittadinanza partecipata e differenziata. L’importante è che ognuno possa realizzare il suo sogno attraverso una mobile e paritaria rete relazionale.
L’anno scorso non c’erano le ajughe poco dopo l’entrata sotto le Rose canine. Quest’anno sono arrivate in massa, sgomitando orgogliose hanno occupato la zona. Mica sceme, è un angolo quasi etereo, zen. Poetico nel suo avvolgersi tra i rami arcuati delle rose, prostrati nella loro malinconia. Come avranno fatto ad intercettare questa bazza? Chi ha detto loro del potenziale di questo spazio? L’anno scorso avevamo liberato quelle rose dalle contendenti vicine, le Clematis vitalba, i Prunus cerasifera, gli Ailanthus altissima. E quindi il giardino ha pensato bene di riempire lo svuotamento. Ogni input presuppone una nuova reinterpretazione. E noi abitanti del giardino abbiamo la possibilità di partecipare a questa sinfonia collettiva intonando, senza esagerare, le nostre note.
L’aiuola dei Foeniculum vulgare, i finocchietti selvatici.
Questa aiuola è colonizzata dai finocchietti: attestati storici dei 300, dei monelli simpaticoni, alti e sicuri di sé si divertono tra il pubblico degli spettacoli. Se ne sono visti di spettacoli, o di concerti. A dire il vero, chissà quante se ne sono visti, quante storie di noi conoscono e chissà che risate che si fanno quando non ci siamo. Ma ci sembravano un po’ lasciati a sé stessi, abbandonati in uno spazio indefinito e quindi abbiamo pensato di lasciare loro un po’ di compagnia: abbiamo piantumato una bella forsizia e delle graminacee ornamentali, o meglio, chiamate ornamentali. Quale pianta non lo è e soprattutto quale pianta è solo ornamentale?
I due semi-cerchi didattici.
Questa primavera abbiamo piantato tante altre erbacee perenni: graminacee (eragrostis, miscanthus e stipe), rudbeckie, equisetum, echinops, verbene, scabiose, solidago. Gli arbusti che ora fioriscono in questa zona sono stati piantati in autunno dai bimbi durante i laboratori: una rosa che sta per fiorire, l’Edith Piaf, e le kerrie che con il loro fiore giallo opaco sfumano il giallo acceso e dominante dei ranunculus.
In queste settimane in questa zona verrà svolto un diserbo molto certosino: un diserbo selettivo, che consiste nell’individuare la distinzione delle erbacee che saranno protagoniste della nostra estate e che si confondono con le erbacee da estrarre e lasciare come pacciamatura, che dopo aver mantenuto umido il terreno si decomporrà arricchendolo di proprietà necessarie. Ma non le sradicheremo tutte, ne terremo alcune che non sono state piantate appositamente ma che sono arrivate autonome e si sono inserite serenamente nel disegno progettato: i Daucus carota e le Fregaria vesca, le fragoline selvatiche.
L'apiario
Finalmente un inverno come si deve! Dopo che gli ultimi anni, specie il 2019/20 e il 2018/19, hanno visto la stagione fredda caratterizzata da temperature troppo miti, con i mesi di gennaio e febbraio in preda all’anticiclone e quindi a tempo stabile secco e soleggiato, quest’ultimo inverno si è fatto rispettare fin da subito. Preceduto da un autunno molto piovoso, l’inizio del nuovo anno ha elargito abbondanti nevicate su tutti i rilievi, da nord a sud, e temperature che hanno consentito la conservazione del manto nevoso e uno scioglimento molto graduale, di cui la terra e le piante potranno beneficiare nei prossimi mesi.
Gli inverni freddi aiutano gli alveari, perché la regina interrompe per un lungo periodo la deposizione delle uova. Così le operaie non hanno larve da nutrire e le scorte all’interno del nido rimangono intatte e disponibili più a lungo, buone per quando comincerà a riaffacciarsi la bella stagione.
Durante il periodo invernale, i lavori in apiario si riducono a brevi visite nelle giornate di sole. Può essere sufficiente controllare da fuori, senza aprire le arnie. Basta verificare che ci sia un po’ di viavai: qualche ape che esce per svolgere in volo le proprie funzioni corporali o che torna all’alveare con qualche pallina di polline recuperata da qualche stoico fiore che ha voluto sfidare il freddo.
A fine febbraio e inizio marzo le temperature consentono di visitare le famiglie un po’ più in profondità. L’ape regina ha ricominciato a deporre, al centro del glomere. È importante verificare che le api abbiano a disposizione scorte di miele e di polline dall’anno precedente. Possono verificarsi lunghi periodi di maltempo, con piogge che impediscono alle bottinatrici di approvvigionarsi sui fiori, che oltretutto in questo periodo sono ancora scarsi. L’autunno 2020 ha permesso alle nostre api di accumulare, dopo un’estate terribilmente avara, un buon quantitativo di polline e di miele di edera. Questo miele però presenta il pericoloso inconveniente di diventare estremamente solido alle basse temperature, tanto che durante la stagione fredda le api non riescono a scaldarlo a sufficienza per potersene nutrire. Poiché questo era praticamente l’unico miele presente nei favi di scorta, abbiamo dovuto integrare la nutrizione naturale con una artificiale, costituita da candito (glucosio e fruttosio) arricchito con vitamine.
Le famiglie non sono uscite fortissime dall’inverno. La colpa appunto è principalmente da imputare ad una stagione estiva poverissima, quindi al fatto che abbiamo dovuto invernare famiglie poco popolose. In compenso le vere e proprie perdite di alveari sono state trascurabili, rispetto ad altre annate. Ora rimane da vedere come sarà questa primavera. Per ora possiamo solo dire che a seguito di una notevole ripresa di vigore degli alveari, un brusco ritorno del freddo e di minime al di sotto dello zero in almeno un paio di occasioni in aprile e a frequenti precipitazioni e giornate di vento, le condizioni delle nostre api sono retrocesse di almeno un mese, con abbandoni di covata per incapacità di riscaldarla e per il vistoso consumo delle scorte di miele nuovo. Fortunatamente non si sono presentate patologie tipiche di questo periodo e di questi ribaltamenti meteorologici, come nosema, covata calcificata, peste europea. Diciamo che per il momento le nostre api sono un po’ affamate, ma in ottima salute, anche se è ancora troppo presto per cantare vittoria.
✍️ Rubrica di giardinaggio a cura di Caroline Moccia, Edoardo Improta e Fabrizio Montanari.
I nuovi alberi e arbusti
L’alba della ripresa vegetativa, che coincide con quell’altalenante intertempo tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera (o tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno), è il momento propizio per mettere a dimora nuovi esseri vegetali, in modo tale che la spinta fisiologica della pianta trovi ospitalità in una nuova dimora, sapientemente preparata. Approfittando dell’iniziativa regionale sul rinverdimento, l’associazione si è procurata 20 tra alberi e arbusti, tra cui esemplari di di prima grandezza (Tilia cordata, Castanea sativa). Quando si sceglie di impiantare un nuovo essere vegetale, la prima cosa che viene in mente – soprattutto se si tratta di un albero – è che, se tutto va bene, quell’individuo vegetale sopravviverà a te e alla tua decisione e inizierà una relazione (e quindi una trasformazione) con lo spazio.
La fase decisionale comprende quindi due passaggi: quello relativo alla pianta e quello relativo al luogo di impianto. Sembra semplice ma non lo è. Per quello che riguarda la scelta delle varietà arboree e arbustive, abbiamo scelto di arricchire lo spazio con specie tipiche dell’ambiente collinare ma che non fossero necessariamente già presenti, oppure che lo fossero in numero limitato.
Abbiamo notato che tra la schiera ordinata di cipressi ha deciso di crescere – un po’ storto ma deciso – un tiglio. Perché non affiancargli due compagni di viaggio e creare un piccolo boschetto di tigli (Tilia cordata)? Tra l’altro, le più felici di questa scelta saranno le api residenti ai 300 scalini. Un’altra pianta che potrebbe rendere felici le nostre amiche api è il Castagno (Castanea sativa), specie che predilige altezze maggiori ma che potrebbe trovarsi bene anche da noi. Per ora abbiamo un solo esemplare, sarà necessario al più presto trovarne almeno un secondo.
Un’ultima specie di alberi che ci è sembrata molto adatta al nostro spazio è il Gelso (Morus alba), già presente all’interno del Parco del San Pellegrino ma latitante all’interno del giardino dei 300 scalini. Oltre a rappresentare una coltura molto importante nella storia economica della regione, il Gelso è un albero molto generoso per la sua offerta di frutti e di ombra, combinazione estremamente adatta alla vocazione ospitante del rifugio di collina.
Sempre su questa linea di piante, adatte ad integrarsi nell’ambiente collinare offrendo – ad animali e uomini – parti di sé commestibili, abbiamo scelto di piantare alcuni esemplari di Olivello spinoso (Hippophae rhamnoides), dai cui frutti ricchi di vitamina C e di grassi “buoni” è possibile ricavare trasformati; un esemplare di Sambuco (Sambucus nigra); due di noccioli (Corylus avellana); uno di Spino cervino (Rhamnus cathartica) che produce frutti adatti a infusi ed elaborati a fini diuretici; un esemplare di Prugnolo selvatico (Prunus spinosa); un Mandorlo (Prunus dulcis); un Sorbo domestico (Sorbus domestica), genitore delle celebri sorbole, un tempo molto apprezzate nella dieta cittadina (oltre che nel gergo) e oggi quasi dimenticate ; un Sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia), amato dall’aviofauna migratoria e conseguentemente dai birdwatcher o dai cacciatori di uccelli, gli uccellatori appunto.
È stato un inizio primavera molto proficuo, nel quale il nostro grande giardino ha accolto nuovi abitanti che nei prossimi anni ci mostreranno quale relazione saranno stati capaci di instaurare. Qualcuno si troverà bene, qualcun altro meno. Tutti però parteciperanno al movimento del giardino.
Il prato
In primavera nel grande giardino dei 300 arrivano le foglie sugli alberi e sugli arbusti, sbocciano i fiori sui frutti ed emergono infiniti processi di crescita dal sottosuolo. Il prato. Dimensione considerata di supporto al paesaggio, uniforme e monocromatica. Ma per noi questa dimensione è tutt’altro. Intanto non è un supporto, ma è un insieme di storie di vita, ognuna significante nella sua unicità. Poi non è uniforme e men che meno monocromatico. In questo momento, per esempio, le Ajughe repens si esprimono con spighe viola piccoline, erette e ben piazzate; mentre il Ranunculus tuberosus danza sbarazzino, più esile e più alto, e dipinge di giallo l’intera collina; poi c’è la Bennis perennis, la margherita, allegra, di compagnia, i fiori non sono mai soli, guardano il cielo dal basso, cercano uno spiraglio lasciato dai ranunculus e si godono la luce disponibile senza ambire ai piani alti.
La tessitura, la gamma cromatica, l’architettura degli apparati, quante variazioni. E tutto questo è possibile perché invece di falciare tutto al primo accenno di vita, noi decidiamo di farci stupire. Perché rinunciare a una mise en scène di questo tipo? I piani bassi scalpitano. Sgocciolamenti di colore impazziti. Tele viventi che rimodellano lo spazio. Tante specie sono atterrate in autunno. Dopo un viaggio imprevedibile con il vento o addirittura in prima classe con qualche impollinatore. Questo movimento è linfa vitale per la trasformazione della biodiversità che abita i 300 con noi. Insieme a loro siamo tutti abitanti del luogo e cerchiamo di favorire una cittadinanza partecipata e differenziata. L’importante è che ognuno possa realizzare il suo sogno attraverso una mobile e paritaria rete relazionale.
L’anno scorso non c’erano le ajughe poco dopo l’entrata sotto le Rose canine. Quest’anno sono arrivate in massa, sgomitando orgogliose hanno occupato la zona. Mica sceme, è un angolo quasi etereo, zen. Poetico nel suo avvolgersi tra i rami arcuati delle rose, prostrati nella loro malinconia. Come avranno fatto ad intercettare questa bazza? Chi ha detto loro del potenziale di questo spazio? L’anno scorso avevamo liberato quelle rose dalle contendenti vicine, le Clematis vitalba, i Prunus cerasifera, gli Ailanthus altissima. E quindi il giardino ha pensato bene di riempire lo svuotamento. Ogni input presuppone una nuova reinterpretazione. E noi abitanti del giardino abbiamo la possibilità di partecipare a questa sinfonia collettiva intonando, senza esagerare, le nostre note.
L’aiuola dei Foeniculum vulgare, i finocchietti selvatici.
Questa aiuola è colonizzata dai finocchietti: attestati storici dei 300, dei monelli simpaticoni, alti e sicuri di sé si divertono tra il pubblico degli spettacoli. Se ne sono visti di spettacoli, o di concerti. A dire il vero, chissà quante se ne sono visti, quante storie di noi conoscono e chissà che risate che si fanno quando non ci siamo. Ma ci sembravano un po’ lasciati a sé stessi, abbandonati in uno spazio indefinito e quindi abbiamo pensato di lasciare loro un po’ di compagnia: abbiamo piantumato una bella forsizia e delle graminacee ornamentali, o meglio, chiamate ornamentali. Quale pianta non lo è e soprattutto quale pianta è solo ornamentale?
I due semi-cerchi didattici.
Questa primavera abbiamo piantato tante altre erbacee perenni: graminacee (eragrostis, miscanthus e stipe), rudbeckie, equisetum, echinops, verbene, scabiose, solidago. Gli arbusti che ora fioriscono in questa zona sono stati piantati in autunno dai bimbi durante i laboratori: una rosa che sta per fiorire, l’Edith Piaf, e le kerrie che con il loro fiore giallo opaco sfumano il giallo acceso e dominante dei ranunculus.
In queste settimane in questa zona verrà svolto un diserbo molto certosino: un diserbo selettivo, che consiste nell’individuare la distinzione delle erbacee che saranno protagoniste della nostra estate e che si confondono con le erbacee da estrarre e lasciare come pacciamatura, che dopo aver mantenuto umido il terreno si decomporrà arricchendolo di proprietà necessarie. Ma non le sradicheremo tutte, ne terremo alcune che non sono state piantate appositamente ma che sono arrivate autonome e si sono inserite serenamente nel disegno progettato: i Daucus carota e le Fregaria vesca, le fragoline selvatiche.
L'apiario
Finalmente un inverno come si deve! Dopo che gli ultimi anni, specie il 2019/20 e il 2018/19, hanno visto la stagione fredda caratterizzata da temperature troppo miti, con i mesi di gennaio e febbraio in preda all’anticiclone e quindi a tempo stabile secco e soleggiato, quest’ultimo inverno si è fatto rispettare fin da subito. Preceduto da un autunno molto piovoso, l’inizio del nuovo anno ha elargito abbondanti nevicate su tutti i rilievi, da nord a sud, e temperature che hanno consentito la conservazione del manto nevoso e uno scioglimento molto graduale, di cui la terra e le piante potranno beneficiare nei prossimi mesi.
Gli inverni freddi aiutano gli alveari, perché la regina interrompe per un lungo periodo la deposizione delle uova. Così le operaie non hanno larve da nutrire e le scorte all’interno del nido rimangono intatte e disponibili più a lungo, buone per quando comincerà a riaffacciarsi la bella stagione.
Durante il periodo invernale, i lavori in apiario si riducono a brevi visite nelle giornate di sole. Può essere sufficiente controllare da fuori, senza aprire le arnie. Basta verificare che ci sia un po’ di viavai: qualche ape che esce per svolgere in volo le proprie funzioni corporali o che torna all’alveare con qualche pallina di polline recuperata da qualche stoico fiore che ha voluto sfidare il freddo.
A fine febbraio e inizio marzo le temperature consentono di visitare le famiglie un po’ più in profondità. L’ape regina ha ricominciato a deporre, al centro del glomere. È importante verificare che le api abbiano a disposizione scorte di miele e di polline dall’anno precedente. Possono verificarsi lunghi periodi di maltempo, con piogge che impediscono alle bottinatrici di approvvigionarsi sui fiori, che oltretutto in questo periodo sono ancora scarsi. L’autunno 2020 ha permesso alle nostre api di accumulare, dopo un’estate terribilmente avara, un buon quantitativo di polline e di miele di edera. Questo miele però presenta il pericoloso inconveniente di diventare estremamente solido alle basse temperature, tanto che durante la stagione fredda le api non riescono a scaldarlo a sufficienza per potersene nutrire. Poiché questo era praticamente l’unico miele presente nei favi di scorta, abbiamo dovuto integrare la nutrizione naturale con una artificiale, costituita da candito (glucosio e fruttosio) arricchito con vitamine.
Le famiglie non sono uscite fortissime dall’inverno. La colpa appunto è principalmente da imputare ad una stagione estiva poverissima, quindi al fatto che abbiamo dovuto invernare famiglie poco popolose. In compenso le vere e proprie perdite di alveari sono state trascurabili, rispetto ad altre annate. Ora rimane da vedere come sarà questa primavera. Per ora possiamo solo dire che a seguito di una notevole ripresa di vigore degli alveari, un brusco ritorno del freddo e di minime al di sotto dello zero in almeno un paio di occasioni in aprile e a frequenti precipitazioni e giornate di vento, le condizioni delle nostre api sono retrocesse di almeno un mese, con abbandoni di covata per incapacità di riscaldarla e per il vistoso consumo delle scorte di miele nuovo. Fortunatamente non si sono presentate patologie tipiche di questo periodo e di questi ribaltamenti meteorologici, come nosema, covata calcificata, peste europea. Diciamo che per il momento le nostre api sono un po’ affamate, ma in ottima salute, anche se è ancora troppo presto per cantare vittoria.